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Digital diary

Reti sociali: l’influenza è più nelle idee che nelle persone

Sfatiamo subito un mito. Senza quei numeri che tanti ritengono gonfiati, esagerati, falsi, non  esisterebbero gli influencer, perché non avrebbero visibilità. Che poi quella visibilità non sia condizione sufficiente per ritenersi influenti, è chiaro come acqua cristallina.

L’influenza è un effetto, quello di condizionare le scelte altrui grazie alla propria autorità riconosciuta in un particolare ambito. “Retweet is not endorsment” recita la mini-biografia di molti utenti di Twitter. Conferma ulteriore che le “azioni social” non sono da considerarsi un’azione dettata dall’influenza, ma da altro. Quello che contano sono le idee, i concetti, di cui i cosiddetti “influencer” si fanno vettori privilegiati all’interno della collettività.

Ho letto di recente un ebook molto interessante,  Zarrella’s Hierarchy of Contagiousness: The Science, Design, and Engineering of Contagious Ideas, che descrivendo la diffusione delle idee in maniera ordinata riporta una tesi molto interessante. Partendo dal concetto di meme – termine coniato da Richard Dawkins ad indicare “un’unità di retaggio culturale”- e riflettendo sulla sua diffusione virale, afferma come non si diffondano le idee che portano maggior beneficio alla comunità, bensì quelle che hanno caratteristiche di sopravvivenza e maggiore probabilità di riprodursi.

Come si diffonde un’idea

Così come il concetto di viralità, la formula che calcola la diffusione delle idee è presa in prestito dall’epidemiologia, ed in origine era utilizzata per calcolare la diffusione delle malattie. Si tratta del tasso di riproduzione (Reproduction rate o R con zero, R0), definito dal numero medio di nuove insorgenze di una malattia sul totale degli individui che compongono una popolazione durante l’intero ciclo di un’epidemia. Nel caso di malattie altamente infettive, il valore di R0 può essere anche superiore ad 1. Invece un’idea, nei test effettuati da Zarella, si diffonde con un R0 ampiamente inferiore ad 1. Generalmente un’idea si diffonde all’interno di piccoli gruppi con un alto tasso di condivisione, ma poi, quando viene esposta a un pubblico più ampio, tende a dissolversi.

Se all’interno di un ecosistema come quello di Twitter viene lanciata un’idea, questa viene ricondivisa solo da una porzione del pubblico. Nel dettaglio possiamo parlare di percentuale di Retweet di un particolare Tweet sul totale dei Followers. Se l’idea si riproduce con coefficiente R0 pari a 0,010 ad esempio ed abbiamo 10.000 followers, in primo grado l’idea si riprodurrà solo con 100 RT, ed in secondo grado con 1 RT per un totale di 101 RT. Se l’utente avesse avuto solo 100 followers la diffusione dell’idea si sarebbe fermata al primo grado. Quindi, qui si smonta la prima tesi di chi sostiene che gli Influencer non esistono perché in realtà hanno solo una grande visibilità: la realtà è che per essere Influencer è condizione necessaria ma non sufficiente quella di avere visibilità.

Nel libro la gerarchia delle idee Zarrella pone in risalto sulla base dei dati alcune ricette per la diffusione delle idee in rete, attraverso i social network e non solo. Per essere un’idea di successo, l’idea deve ispirarsi ai meme, deve imparare a riprodursi in rete e a moltiplicarsi. Trucchi come la pianificazione temporale in momenti di bassa competizione per l’attenzione come i week-end (contra-competitive timing), riusciranno a darci maggiore risalto.

L’influenza si manifesta all’interno di piccoli gruppi.
Grafica di Bruce Depree

Voglio condividere con voi una casistica reale. Ho recentemente svolto una Social Network Analysis insieme a Gianandrea Facchini per BuzzDetector, monitorando ed analizzando le dinamiche di attivismo in rete per la chiusura del centro di allevamento di Beagle per la vivisezione di Montichiari (BS) “Green Hill”. Ebbene, questi attivisti per la prima volta hanno utilizzato, più o meno scientemente, delle tecniche di travestimento da viral meme delle loro idee e iniziative di campagna per la chiusura di Green Hill. Proprio su Twitter si è costituita un rete naturale di attivisti che hanno ingaggiato celebrità e vip del mondo dello spettacolo e della televisione chiedendo loro di diffondere un messaggio a favore della campagna “Stop Green Hill”. La protesta si è organizzata e diffusa molto bene in rete, il Social Network si è spostato dalla rete anche alla piazza, con migliaia di persone che hanno partecipato anche in varie parti d’Europa e del mondo alle iniziative di protesta. In particolare l’internalizzazione del fenomeno dell’attivismo per la chiusura  di Green Hill si è trovato su Twitter.

L’amore per i migliori amici dell’uomo si è sempre manifestato sotto forma di meme, come testimonia il successo delle foto e i video dei gattini, e gli attivisti per la chiusura di Green Hill hanno efficiaciemente ricorso a queste idee consolidate per veicolare la campagna.

Se con i Social Media è aumentata quindi la possibilità di diffondere idee o semplici meme fini a se stessi, abbiamo assistito ad un processo involutivo nelle possibilità di interazione, ridotte a minimali “like” o istantanei “RT”. Così si è indubbiamente allargato il pubblico attivo, un pò come quando si abbassa l’asticella nel salto con l’asta e riescono a superare il turno più atleti. Questo processo è stato talmente estremizzato che oggi non possiamo a mio avviso parlare di “influenza” di una persona in un’altra nella generazione di un RT o di Like. Questi piuttosto sono segnali di fare parte di una community attiva che ci presta attenzione, e che come effetto collaterale aumenta la visibilità delle nostre idee.

Inception: l’idea viene instillata in sogno

Se un tempo, vista l’implicita difficoltà di livello tecnologico (il web dei tecnocrati pre – social media, quando la produzione di contenuti era appannaggio di pochi autori del web autodidatti e webmaster professionisti), la creazione di un link ad esempio poteva essere vista come un reale segnale di influenza nei confronti della pagina che riceveva il link (di qui il successo del PageRank), quando quelli che molti oggi chiamano “Influencer” si chiamavano, in un termine coniato da Rand Fishkin, “Linkerati” oggi non possiamo dare lo stesso peso ad un’azione così immediata di ri-condivisione come un Tumblr o un Pin su Pinterest. Ancora oggi l’Influenza si misura su altri parametri, online ed offline. Online: Hai scritto un ebook. Condividi link verso la pagina Amazon e ottieni degli acquisti. Consigli un prodotto che hai acquistato via ecommerce, e generi delle vendite. Oppure offline: stai preparando un evento e decidi di pubblicizzarlo esclusivamente tramite i Social Media. Quante persone porterai fisicamente ad incontrarti? Sei un esperto di cinema. Quante persone riesci a convincere a vedere o non vedere quel film? Hai scritto un libro: quanti porterai in liberia ad acquistarlo?

Questa è vera influenza. L’influenza che si misura con azioni volontarie di livello più avanzato.

I like, i RT, i +1 non possono costituire la nuova algebra dell’influenza. Definiscono piuttosto l’attenzione del pubblico presso cui abbiamo guadagnato visibilità. Senza motivazioni, senza la vera condivisione di un’idea, non ci saranno altre azioni.

Immagine d’apertura: elaborazione del celebre meme Keep Calm and Carry On

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